Aprile 2020. Il regista Etienne e suo fratello Paul, giornalista musicale, trascorrono il lockdown insieme nella casa in cui hanno vissuto da bambini, insieme alle loro nuove compagne Morgane e Carole. Ogni stanza, ogni oggetto, ricorda loro la loro infanzia e risveglia i ricordi degli assenti: i loro genitori, i loro vicini... Quanto sono lontani i fratelli l'uno dall'altro e dalle radici che condividono? Mentre il mondo che li circonda diventa sempre più inquietante, un senso di irrealtà – e persino di inquietante estraneità – invade la loro vita quotidiana.
Volevo lasciare una traccia di un evento storico che ritenevo unico nel suo genere. Qualcosa che fosse concreto, realistico. Osservare le circostanze dell’isolamento, assieme a cosa aveva suscitato in me quel ritorno nella casa di campagna di mio padre. Ma seppur con un personale ritorno all’infanzia, Hors du temps doveva avere in sé qualcosa di universale per poter parlare a tutti quanti. Serviva perciò una transizione dai personaggi scritti agli attori, da come eravamo e siamo oggi io e mio fratello, alla performance degli interpreti. In fondo la sceneggiatura è solo l’intermediario tra idea e film finito. La pandemia è stato un periodo stranissimo per tutti, e riconosco di essere stato privilegiato, perché in quel momento di fermo sono potuto andare in profondità su temi come il destino, la possibilità di reinventarsi, immaginando di poter uscire da quella situazione diverso da come ci ero entrato. È una storia che mi si è imposta. Quando ho cominciato a buttarla giù non sapevo dove mi avrebbe condotto. E alla fine è diventata una contrapposizione tra ciò che ci torna in mente dell’infanzia e un senso pressante di morte. Segno dell’indecisione dei tempi, trasposta attraverso i discorsi e le riflessioni sentiti e fatti durante quei mesi rinchiusi.