Shajane, Maha, Muzamil, Khatab e la voce del poeta Chaikhoon. Sono ventenni, politicamente attivi e creativamente artistici. Questo film è un coro cinematografico, il ritratto collettivo di una generazione che lotta per la libertà con le loro parole, poesie e canti. Di fronte a un esercito corrotto e a una milizia paramilitare responsabile di crimini di guerra in Darfur, Kordofan e Nilo Azzurro, avrebbero potuto scoraggiarsi ancor prima di iniziare. Senza il sogno che li guida, la potenza dell'immaginazione e la forza del discorso poetico, non sarebbero riusciti a rovesciare il regime precedente. Il film racconta la lotta impari che ha visto contrapposte le voci della rivoluzione contro il fuoco della milizia.
In Sudan, le persone recitano poesie alla stessa frequenza del respiro. Per loro è uno strumento di resistenza, che vien fuori dalle conversazioni, dalle manifestazioni, dalle scritte sui muri. Man mano che procedevo nella mia ricerca, ho percepito i contorni di una nuova era che definirei “post-islamista”. Durante i trent’anni di dittatura, la religione è stata usata per controllare la vita delle persone. I rivoluzionari sudanesi non vogliono più questo. La nuova generazione si batte per la libertà di coscienza, come descritto in questa famosa poesia: “Ci uccidono in nome della religione. Ma l’Islam dice: insorgete contro i tiranni! Una pallottola non uccide. Il silenzio sì”. Il Sudan si trova all’incrocio di mondi che ho frequentato fin dall’infanzia. I miei genitori hanno lasciato il Nord Africa negli anni Settanta alla ricerca della libertà in Europa. Questo film racconta il tentativo impossibile di cambiare. Di fronte a un esercito potente, come può un movimento pacifico far sentire la propria voce?