Marta e Guido non stanno più insieme. Andrea, otto anni e figlio unico, rende più problematica la loro separazione. I due adulti richiedono dunque al tribunale per i minorenni una sentenza giudiziale che disciplini, in via definitiva, quanti giorni Andrea debba stare con la madre e quanti con il padre. Il magistrato dispone colloqui e perizie, che costringono tanto i genitori quanto il bambino ad approfondire, laddove possibile, le ragioni dei rispettivi disagi e desideri. E così facendo a rivelarsi progressivamente. Il piccolo Andrea, in particolare, soffre il tempo che gli viene sottratto, così come il sentirsi conteso tra due genitori cui vuole bene alla stessa maniera. Marta e Guido mettono in campo tutte le proprie energie – istrioniche, nevrotiche, omissive – e lottano strenuamente, aspettando che l’uno o l’altra ceda. Tutti alla ricerca di un equilibrio, che dovrà essere – al netto di imprevisti o colpi di testa – l’equilibrio delle loro nuove vite.
“Un’amica mi parlò a lungo della separazione coniugale di un’altra sua amica, resa specialmente penosa dalla presenza di un figlio unico di otto anni. Io le chiesi di gettare giù degli appunti, che lei mi consegnò, brevi e intensi, come fossero un tesoro. Da lì ho cominciato a immaginare una storia asciutta, che osservasse la separazione dai tre differenti punti di vista, attraverso passaggi leggibili e nitidamente rappresentabili. Una storia semplice, ben consapevole che la semplicità è la cosa più complicata da rappresentare. Pochi ambienti. Luci chiare e naturali. Moltissimi primi e primissimi piani. Facce. Facce. Occhi... e mani. Poca musica. Una canzone popolare che il bambino potesse cantare con la sua voce. Piccole fughe lievemente surreali o divertenti. Nessuna scena madre. Neppure là dove ce la si aspetterebbe”.